L’aggettivo Peligna c’entra poco con la storia del paese, è un regalo un po’ maldestro del Regno D’Italia,frutto di una conoscenza del territorio un po’ troppo distante, in quanto i Peligni erano una popolazione preromanica presente dall’altra parte della montagna.
Nella zona di Taranta c’erano i Carecini o carricini, una delle quattro tribù italiche appartenenti al popolo dei Sanniti. Poi si susseguirono i Longobardi, che lasciarono un castello sulla morgia del fiume dove ora sorge la chiesa parrocchiale di San Nicola e prima ancora romani, che lasciarono diverse tombe sparse sul territorio; una di queste, di un tale Brinnia Procula, venne recuperata nel 1500 circa da Lorenzo Malvezzi Medici (parente di quel Lorenzo il Magnifico) toscano che era sceso a Taranta per diffondere l’arte laniera.
Taranta e la lana sono due realtà che per secoli sono andate insieme: la fortuna del paese, dove la rivoluzione industriale arrivò quando in altri posti del Regno delle Due Sicilie o dell’Abruzzo citeriore si era ancora in pieno feudalesimo, è ruotata da sempre attorno ai suoi lanifici che sfornavano tessuti e coperte famose in tutta Italia. Taranta aveva l’esenzione dai balzelli reali perché forniva le vele agli arsenali napoletani e i tarantolesi erano un popolo di mercanti, di pastori e di operai.
E la cultura tarantolese ne risente di conseguenza:
si sviluppa il culto di Portale San Biagio, protettore dei lanieri, culto che culminerà con la costruzione della chiesa di San Biagio, di cui ora rimangono ruderi, portone ligneo e portale, bellissimi e intrascurabili al centro del paese.
Il dialetto tarantolese cambia, si trasforma grazie agli influssi foggiani e napoletani riportati dai mercanti e dai pastori transumanti. Negli ultimi anni il legame con il sud si è rafforzato, unendo il nome del paese alla danza salentina, la Taranta, grazie ad iniziative culturali ed ad un festival [LE NOTE DE LA TARANTA] che è diventato appuntamento fisso estivo della Valle Aventino.